Levanna Centrale 3619 m. |
Un itinerario come questo non poteva non far parte di Valli di Lanzo Outdoor. Ne ha tutte le caratteristiche: lunga, faticosa, selvaggia. Alta quota e solitudine. Tutti gli ingredienti ci sono. La Levanna Centrale è una di quelle ascensioni che per lo meno per l’ambiente che si attraversa ti lasciano un bel ricordo. Il terreno purtroppo non è dei migliori. Del resto le nostre povere montagne si stanno disfacendo, anno dopo anno, sempre più sfasciumi, sempre più detriti in movimento, i ghiacciai che in un’estate terrificante come questa del 2003 subiscono notevoli colpi. Questa è una di quelle salite che si fanno una volta..poi non so se la si ripete. Non perché non ne valga la pena, ma perché è davvero lunga e faticosa, con qualche tratto delicato, come la salita e la discesa del Col Girard.
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19 e 20 agosto 2003 La nostra salita comincia nel rovente pomeriggio d’un giorno d’agosto, a Forno Alpi Graie. Caricatici sulle spalle il solito, immane zaino, ci incamminiamo lungo la sx idrografica del Torrente Gura, seguendo le indicazioni per il Rif. Daviso. Il percorso è inizialmente pressoché pianeggiante, e percorre la piana del torrente devastata dalla spaventosa alluvione del settembre 93. La nuova vegetazione comincia a mascherare le distese di pietrame: in una decina di anni qui tornerà il bosco. Il sentiero, finalmente, comincia a salire nel bel bosco di betulle, per superare una balza rocciosa, con alcuni tornanti si inoltra nella buia fascia boscosa. Con tornanti a pendenza sostenuta, e lunghi traversi, in una specie di trincea tra le drose, si toccano alcune isolate baite in disfacimento. Non si direbbe che questo sentiero portasse ad un rifugio gestito. Il caldo è impressionante, sembra di percorrere una foresta tropicale, rivoli, che dico, torrenti di sudore mi colano giù per il volto. Ormai sono completamente fradicio, come se avessi fatto una doccia vestito.
Controluce verso la testata della Val Grande, dal rifugio Daviso. Tocchiamo una baita isolata in buone condizioni, e quindi usciamo dal cespuglioso pendio. Un lungo traverso in leggera salita porta sull’orlo del profondo canalone, impressionamene scavato dal rio Bramafam. Proprio qua sopra, si staccò, nel settembre 93, parte della morena frontale del Ghiacciaio Mulinet, che generò una colossale colata di roccia, fango, detriti, che devastò Forno e tutta la parte alta della Val Grande di Lanzo. Ci lasciamo a sinistra i pascoli del Gias di Lei (nei pressi del quale vi è il piccolo laghetto della Gura, completamente asciutto in questa torrida estate), e scendiamo ad attraversare il rio una cinquantina di metri più in basso, su un traballante ponticello. Si risale sul versante opposto, e poco dopo si ridiscende ad attraversare questa volta il rio che scende dal Ghiacciaio Martellot. Di fronte a noi il paesaggio si fa più dolce. Tra pascoli e baite spesso in rovina, il sentiero sale ben tracciato il costone erboso, fino a sbucare al Rifugio Daviso, dove, stanchi, sudati e appiccicosi, ci aspetta un graditissimo tè caldo. Una cena abbondante e a nanna presto. Domani la sveglia è impietosa: alle 4 ci si deve alzare, la giornata sarà lunga e faticosa.
Due immagini della spettacolare alba dal Col Girard. E così è. Alle 5 del mattino, alla luce delle frontale brancoliamo nel pendio dietro al rifugio, con qualche difficoltà nel reperire il sentiero che conduce al Col di Fea, punto chiave per la via normale alla Levanna Orientale. Il chiarore avanza da ovest, il giorno sta per arrivare, e comincia a vedersi qualcosa. Abbandoniamo il sentiero più battuto, e ci dirigiamo per una traccia, a tratti ben marcata e segnalata da qualche ometto, verso lo scivolo nevoso della Talancia Girare. Talancia è un termine locale che indica appunto un ripido canalone ghiacciato. Più ci si avvicina, e più il Col Girare pare repulsivo. E in effetti lo è. Su sfasciumi instabili e faticosissimi si arriva alla base del canale. Ci sono due vie di salita: o salire direttamente, con attrezzatura idonea, cautela, una buona dose di coraggio la Talancia (PD+, 45° di pendenza per 60-70 m, probabilmente 50° o più in uscita, scariche di pietre: non lo consiglio) oppure una via altrettanto poco invitante, che sale un canalino di rocce marce e instabili, detriti, terriccio. Noi ovviamente optiamo per la seconda. Saliamo ancora per la traccia di sentiero, faticosissima, movendo ad ogni passo metri cubi di detriti che rischiano di lapidare il compagno che segue. Poi viene il bello. Nel canalino si incontrano diversi passaggi su roccia marcia, alcuni diedri, intervallati da fasce di detriti che si muovono solo a guardarle. Bisogna fare molta, ma molta attenzione su di qui. La pendenza è elevata, prima di aggrapparsi agli appigli che offre la roccia, bisogna saggiarne la tenuta, qui cadere potrebbe avere conseguenze gravi. Per questo non mi sento di classificare questa via come un EE: è sottostimata, a mio parere. Come minimo questo canalino si merita un F+, anche considerando il terreno schifoso. Il superamento del canalino ci porta via più di mezz’ora. Solo usciti al Col Girare possiamo rilassarci un po’ e stemperare la tensione osservando la splendida alba.
A sinistra: in cammino sul Glacier des Sources de l'Arc, verso la Levanna. Al centro: luce pomeridiana al ritorno dalla vetta... A destra: il colle perduto, dolce e mansueto dal versante francese... Ci ramponiamo e mettiamo piede sul ghiacciaio, puntanto alla Levanna Centrale, ben distinta, che si eleva dalla superficie del Glacier des Sources de L’Arc. E’ ben visibile il lungo crestone, sorretto da balze rocciose interrotte in qualche punto da canalini di rocce e detriti, il più basso dei quali, intorno ai 3000 m, è la chiave di accesso al crestone detritico. Attraversiamo quindi il ghiacciaio, badando a grandi crepacci, compiendo un ampio semicerchio in direzione del Colle Perduto, e poi perdendo quota fino a puntare alla morena laterale. Qui cerchiamo la via più agevole per salire sul crestone. Individuiamo un canale, breve, di detriti, rocce, diedri, come il Col Girard, ma più breve. Faticosamente e badando di non lapidarci a vicenda tirando giù mezza montagna, usciamo sull’ampio crestone detritico. La fatica si fa sentire, ma mancano ancora 4-500 m alla vetta. Ci separa dalla meta questa distesa di sfasciumi, interrotta da balze rocciosa che si superano con ginnastica, il tutto condito da enorme fatica. Alcuni tratti sui detriti, su per la massima pendenza, sono davvero estenuanti: un passo avanti e tre indietro. Finalmente, destreggiandoci tra le rocce, giungiamo ai piedi dei torrioni che costituiscono la vetta dalla Levanna, giusto in tempo per vedere la nebbia arrivare dalla Valle di Ceresole. Siamo sulla Levanna Centrale. Lasciamo l’ebbrezza di salire il torrione più alto a due nostri compagni di avventura. Per noi la salita finisce qui. Siamo esausti, la vista può spaziare solo sul versante francese.
A sinistra: dalla vetta della Levanna Centrale, nubi si addensano sul lato Italiano del confine. Al centro: dalla vetta, ben visibile la bela Punta Clavarino. A destra: il torrione sommitale, circondato da nebbie di calore... E poi è ora di scendere. La discesa del crestone è cosa seria, ma nei tratti di detrito più fine si può scendere quasi correndo, provocando frane di ogni dimensione, e badando bene ad essere più veloci delle pietre che rotolano dietro, di fianco e davanti a noi. Superiamo la balza rocciosa in un punto più agevole e più in basso di quello utilizzato per la salita, che ci porta sui ripiani morenici alla base del Glacier des Sources de l’Arc. Lo riattraversiamo, in leggera salita fino al nostro Col Girare. La sua discesa richiede molta, ma molta attenzione. Specialmente l’ultimo diedro lo scendiamo uno alla volta, portandoci ogni volta fuori tiro. Una volta usciti dall’imbuto siamo a cavallo. Si fa per dire, ovviamente. Le ginocchia cominciano a cedere, il resto della discesa è solo una lunga, eterna, interminabile odissea fino a Forno. Arriviamo decisamente stanchi, le mie ginocchia fumano, le spalle piangono, la schiena urla. Del resto sono quasi 2500 m di discesa, ridendo e scherzando. Mica poco…
A sinistra: la delicata discesa del Col Girard. A destra: i componenti della "spedizione", al rientro al rifugio Daviso. Ma la Levanna Centrale è caduta. Gran gita questa: rude, selvaggia, faticosa, eterna. Ma di grande, grande, grande soddisfazione. Se avrete una buona dose di masochismo per farla, sicuramente non la dimenticherete. E’ una salita Himalayana. In tutto e per tutto. Roberto Maruzzo-socio CAI-Lanzo |
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