Monte Piccolo Morion 2833 m.


Il Piccolo Morion, altra remota cima della Val Grande di Lanzo, che domina insieme al fratello maggiore, il Morion, l’alto bacino dei Sagnasse, ed offre uno straordinario colpo d’occhio sul vicino gruppo del Gran Paradiso. La salita è lunga, segue la logica via della cresta di Pra Longis, e presenta nel finale alcuni tratti non banali, che richiedono buona padronanza del terreno roccioso e buon intuito nel trovare la via più logica di salita. La salita all’aguzzo spuntone che costituisce la vetta estrema richiede molta cautela.

  • Partenza: Rivotti 1460 m

  • Tempo di salita: 4,15 h

  • Dislivello: 1400 m

  • Difficoltà: EE

  • Periodo consigliato: Luglio – Ottobre


19 ottobre 2003

A volte mi chiedo che cos’è che mi spinge a queste imprese in solitaria, in questi posti deserti, lontano dai sentieri battuti, fuori stagione, in situazioni che in effetti possono essere anche rischiose. La risposta non l’ho ancora trovata. So che è dentro di me, ma non la conosco ancora.

L’idea del Piccolo Morion nasce in una settimana. Non ho molte notizie su questa montagna, solo le scarne righe della Guida ai Monti d’Italia. E una cartina dell’IGM, dove la montagna non è nominata. Conosco bene la zona, lo spartiacque val Grande – Valle Orco è per me un simbolo, un progetto da novello “Pensiero Acutis” mi sta portando a salire ogni singola vetta da Cima Mares, a ridosso della pianura canavesana, alla Levanna orientale, sopra Forno Alpi Graie. In mezzo, numerose cime, alcune importanti, altre minori, altre recondite e nascoste e non banali come questa.  

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A sinistra: sta sorgendo il sole, sulla mulattiera che sale ai Rivotti: sullo sfondo la Bellavarda..

 A destra: colori d'autunno e vecchie baite, con lo sfondo della Ciamarella.

La mia salita al Piccolo Morion comincia sotto i Rivotti: la strada è chiusa per lavori, e mi costringe a partire da quota 1285. La cosa però si rivela appagante: ripercorro parte dell’antica mulattiera, in mezzo ai castagni ed ai faggi, che sale da Pialpetta. Giungo così in una mezz’oretta tranquilla alla bianca chiesetta dei Rivotti, dove incontro un malgaro, l’unica persona che incontrerò in tutta la giornata. Proseguo verso ovest, fino alle case Giordano, dove termina la strada. Qui, in mezzo alle case, si stacca un sentierino che si inoltra nel bosco ricco di colori, fino ad un ripetitore della televisione e poi ad uno dei telefoni. Qui finiscono i segni di civiltà, infatti dopo il sentiero si inoltra con brevi tornanti nel bosco, uscendo poi in una radura dove sorgono alcune splendide e vecchie baite. Proseguo per il sentierino, non sempre evidente, tra i noccioli, fino ad arrivare nei pressi della carrareccia che sale dai Rivotti. Passando vicino ad un tubo dal quale fuoriesce un potente getto d’acqua, che con la bassa temperatura ha creato arabeschi di ghiaccio sulle piante circostanti, e ad un vecchio pilone votivo, giungo così sulla strada, diretta al lontano Gias Nuovo Fontane, quasi sulla verticale di Forno Alpi Graie.

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A sinistra: il fratello maggiore della nostra montagna, il Monte Morion, 2839 m.

 Al centro: il pendio finale del Piccolo Morion visto dal cocuzzolo 2633 m IGM.

A destra: il punto chiave della salita, la barriera rocciosa solcata dai due canalini.

In breve, percorrendo la strada, giungo all’Alpe Le Moie, situate in un bel prato a sinistra. A destra, invece, si stendono i bei pascoli del Gias dell’Alpetto. Mi fermo sul bordo del prato, per una piccola pausa ristoratrice, godendo del silenzio che avvolge ogni cosa. L’aria è gradevole, la giornata promette davvero bene. Riprendo il cammino, seguendo vaghe tracce che si dirigono in decine di ramificazioni verso gli edifici del Gias. Alla mia sinistra è evidente il profilo della cresta di Pra Longis. Supero le baite e poi cerco di salire verso la cresta, ma ben presto le tracce scompaiono, lasciando spazio ad un ripido pendio di erba e rododendri e pietrame. Superarlo non è cosa facile, le tracce appaiono e scompaiono, ma il terreno non è mai difficile. In qualche modo, salendo sempre di quota e puntando ad un evidente colletto, riesco ad arrivare finalmente sulla cresta, a picco sul bacino dei Sagnasse. La fatica di questo tratto mi induce ad un’altra piacevole pausa, nei pressi di un colletto erboso, a circa 2290 m. Sono sempre solo, con la cagnetta Sally, che sembra anche lei apprezzare la poesia del silenzio autunnale. Non si vede nessun segno di vita in giro, se non qualche gracchio che volteggia sopra di noi. Ricomincio la mia salita, per una traccia abbastanza marcate che risale con alcuni tornanti la dorsale. La seguo fino a quando essa non si dirige pressoché pianeggiante verso il Corno Bianco, quindi piego per un’altra lieve traccia a destra, che si riporta chiaramente sulla dorsale. Il panorama si fa interessante, il vicino Morion, il fratello maggiore della nostra montagna, domina la scena. Di là, il lineare profilo della cresta sud del Barroaurd segna il limite del bacino dei Sagnasse, con i suoi due piccoli laghi. Oltre, si stende la catena di confine, con le ardite punte della Val Grande.

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A sinistra: prima dell'attacco al pendio finale, vista verso la testata della Val Grande.

Al centro: al di là delle roccette finali sbuca la Levanna Orientale.

A destra: dalla vetta, la foschia accarezza la Val Grande.

Ho risalito così il cocuzzolo 2633 m, seguito da una immensa, caotica e fastidiosa conca di pietrame. Il Piccolo Morion è ora ben visibile, di fronte a me. Si nota chiaramente come il pendio prevalentemente erboso, sia interrotto a metà da un’ampia fascia rocciosa, che vista da qui, non ha un aspetto molto invitante. Ma individuo il suo punto debole. Mi concedo ancora una piccola pausa alla base del pendio finale. Poi è ora di affrontare la parte più delicata della questione. Comincioa  salire per una lieve tracia, puntando direttamente a due canalini, dove la fascia rocciosa è più diretta. Mi guardo intorno, ovviamente non c’è nessuno. E’ venuta l’ora di legare Sally con il cordino che mi sono portato appresso. Salgo per un lastrone roccioso  che muore su una piccola paretina. La supero in due tempi, sfruttando un piccolo terrazzino, e tirando su Sally a forza di braccia sul terrazzino soprastante. Poi salgo io. Così dunque per due volte, uscendo sui ripidissimi pendii erbosi superiori. La tensione che mi si è accumulata nelle gambe rende il passo incerto, ma non posso concedermi molte distrazioni. Raggiungo la cresta di rocce rotte della cresta finale, fino ad uscire sulla sommità del torrione con l’ometto, che, tuttavia non è il più alto. Il punto culminante è uno spuntone aguzzo, situato a ovest di dove mi trovo ora. Ma è un discorso che affronterò, forse, più tardi. Ora, per me e la compagna di cordata, è tempo di godersi il meritato pranzo. Non c’è vento e si sta bene, il tepore del sole d’ottobre mi spinge a rilassarmi, pranzando con il Monte Bianco di fronte, che appare tra le lontane Punte Leynir e il Taou Blanc. L’atmosfera di questi momenti è sempre indescrivibile: il silenzio è così totale che mi fischiano le orecchie. Non vorrei mai scendere di qui, ma le ore passano. Sono le due del pomeriggio quando comincio i preparativi per la discesa. Ma prima voglio ancora tentare lo spuntone estremo. Scendo di qualche metro, fino alla base delle rocce terminale, poi attacco la roccia. Splendida, rugosa, calda, il classico gneiss del Gran Paradiso. Un paio di salti placcosi, poi una serie di brevi passaggi esposti, ed eccomi quasi a cavalcioni dell’aguzzo monolito della vetta, a 2833 m. La soddisfazione di averlo vinto in libera ed in solitaria è grande. Il lago di Ceresole, là in fondo, mi induce alla massima concentrazione. Il colpo d’occhio sulla vicina triade delle Levanne, è grande.

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A sinistra: le rocce della vetta "ufficiosa", quella con l'ometto..

Al centro: vista verso il Gran Paradiso, versante meridonale. In basso il lago di Ceresole.

A destra: cirri sulla testata della Val Grande.

Poi, è davvero ora di scendere. Recupero Sally, e ho cominciato la discesa. Stavolta ho preso il canalino di destra. Calo Sally in due tempi con il cordino, poi finalmente le difficoltà sono finite, e la tensione può finalmente alleviarsi. Scendiamo con calma, il sole è caldo, e non ho alcuna fretta, voglio godermi anche la discesa da questa remota cima delle Valli di Lanzo. Gunto al colletto 2290 m, decido di scendere sui Laghi di Sagnasse. Peccato che l’invitante canale erboso si trasformi presto in una selva cespugliosa, ma sudando e imprecando tra pietrame, rododendri e ginepri, riesco a giungere sulle sponde del Lago inferiore di Sagnasse, dove finalmente ritrovo un sentiero degno di tale nome. Ridiscendo quindi fino alla carrareccia.

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A sinistra: l'aguzzo spuntone terminale, di solido gneiss.

Al centro: i due componenti della vittoriosa ascensione....

A destra: superata la discesa della barriera rocciosa, sono finite le diffficoltà....

E qui, spinto dall’arsura alla gola, mi dirigo verso un gruppo di baite, dove spero di trovare una fontana ancora funzionate. Per fortuna è così. Mi concedo la più classica delle merende sinoire, con salame al barolo, Bra vecchio, dolcetto d’ovada. Non c’è nulla di più bello. Sono quassù,  a 1700 m, non c’è anima viva, solo io, Sally e la montagna. Il cielo si è velato, comincia far freddo. Sono le quattro passate del pomeriggio quando decido di riprendere la via di casa. Risalgo alla strada, e da qui non mi rimane che la noiosa discesa, quando a stanchezza comincia a farsi sentire. Seguo tutta la carrareccia, inoltrandomi nel bosco, e toccando le baite del Crest. Ormai i Rivotti sono a portata di mano, ecco, passati, ancora un po’ ed ecco l’auto. L’avventura è finita. Ancora una volta gli ingredienti magici delle mie uscite autunnali: solitudine, malinconia, poesia di colori. C’erano tutti anche stavolta. Anche il Piccolo Morion è andato.

Roberto Maruzzo-socio CAI-Lanzo


 

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